Dott. Michele Stiz
Dottore commercialista revisore legale e consulente d’azienda

Dott. Giancarlo Garioni
Dottore commercialista revisore legale e consulente d’azienda

Treviso, Agosto 2019

La trasformazione societaria di tipo “progressivo” (da società di persone in società di capitali) potrebbe essere censurabile, ai sensi della disciplina anti-abuso di cui all’articolo 10-bis dello Statuto dei diritti del contribuente, determinando la fruizione di un indebito risparmio d’imposta, allorquando fosse preordinata alla successiva cessione di partecipazioni beneficiando del regime della cd. participation exemption (nel prosieguo più semplicemente pex) di cui all’articolo 87 Tuir, in luogo del regime invece previsto dall’articolo 58, comma 2, Tuir (applicabile in assenza di trasformazione).

Detto in altri termini, la possibilità di fruire dell’esenzione (al 95%) ai fini dell’Ires della plusvalenza realizzata con la cessione delle partecipazioni (ex articolo 87 Tuir), in luogo di quella prevista ai fini dell’Irpef nella misura del 58,14%, rappresenterebbe – a parere dell’Agenzia delle Entrate – una fattispecie abusiva da censurare ai sensi del succitato articolo 10-bis L. 212/2000, consentendo un indebito risparmiorappresentato dal differimento del prelievo marginale sugli utili sino al momento della successiva distribuzione ai soci.

Tale conclusione emerge dalla risposta resa dall’Agenzia delle Entrate all’istanza di interpello n. 185/2019, con la quale l’Amministrazione finanziaria è stata chiamata a pronunciarsi in merito al soddisfacimento dei requisiti per poter fruire della pex nell’ambito di un’operazione così articolata:

  1. trasformazione in S.r.l. di una società costituita secondo il tipo della S.n.c. (ex articolo 170 del Tuir);
  2. conferimento di un ramo d’azienda in altra società neo-costituita, fruendo del regime della neutralità fiscale previsto dall’articolo 176 Tuir;
  3. cessione a soggetti terzi del 70% delle partecipazioni così ottenute nella conferitaria fruendo del regime della pex.

Nel caso di specie, l’Agenzia delle Entrate, richiamando i chiarimenti resi con la risalente circolare 36/E/2004, ha confermato che, nel caso di conferimento neutrale d’azienda, nonché in ipotesi di operazioni straordinarie fiscalmente neutrali, non si determina alcuna interruzione ai fini del computo del periodo di possesso per l’applicabilità del regime pex di cui all’articolo 87, comma 1, lett. a) e b), Tuir (ininterrotto possesso delle partecipazioni dal primo giorno del dodicesimo mese antecedente alla cessione, nonché iscrizione delle stesse tra le immobilizzazioni finanziare nel primo bilancio chiuso durante il periodo di possesso).

Come stabilito, infatti, dall’articolo 176, comma 4, Tuir, le partecipazioni ricevute per effetto di un conferimento d’azienda mantengono la medesima “stagionatura” dell’azienda conferita e si considerano iscritte, per presunzione legale, come immobilizzazioni finanziarie, nei bilanci in cui risultavano iscritti i beni dell’azienda conferita.

Tale principio di continuità nei sopra richiamati requisiti pex in caso di operazioni fiscalmente neutrali è stato considerato applicabile, nella risposta de qua, anche nel caso di trasformazione societaria e ciò quand’anche la trasformazione determinasse, come nel caso in esame, il passaggio dal regime Irpef a quello Ires.

L’iter logico argomentativo seguito dall’Agenzia delle Entrate appare fin qui, non solo intrinsecamente coerente, ma anche in linea con i precedenti di prassi amministrativa (si veda, a mero titolo esemplificativo, anche la risposta all’istanza di interpello n. 70/2019), tant’è che, a ben vedere, un interpello di tipo meramente interpretativo non sarebbe nemmeno servito.

Nonostante non fosse stata chiamata a pronunciarsi in merito, l’Agenzia delle Entrate ha, però, laconicamente aggiunto che l’insieme delle operazioni poste in essere dal contribuente, pur garantendo astrattamente l’applicabilità del regime pex, integrano una condotta abusiva ai sensi dell’articolo 10-bis L. 212/2000, sul presupposto che la trasformazione in società di capitali appare “un’operazione ultronea rispetto all’obbiettivo economico perseguito” e tale da “consentire l’ottenimento di un indebito vantaggio fiscale consistente nell’applicazione dell’articolo 87 del Tuir anziché del combinato disposto di cui agli articoli 58, comma 2, e 5, comma 1, del Tuir”.

Detto in altri termini, secondo l’Agenzia delle Entrate la possibilità di fruire dell’esenzione (al 95%) ai fini dell’Ires della plusvalenza emergente per effetto della cessione delle partecipazioni (ex-articolo 87 Tuir), in luogo di quella prevista ai fini dell’Irpef nella misura del 58,14%, rappresenterebbe una fattispecie abusiva da censurare ai sensi del succitato articolo 10-bis L. 212/2000.

Tale conclusione, tuttavia, ove assunta come valida nella generalità dei casi, senza alcun distinguo, desta qualche perplessità, per almeno due ordini di motivi.

Innanzitutto, è stata del tutto omessa qualsiasi valutazione in ordine all’ampiezza del “perimetro” relativo alla libertà concessa al contribuente di scegliere tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale, così come sancito dall’articolo 10-bis, comma 4, L. 212/2000, non essendo, infatti, tenuto il contribuente a condurre i propri affari in modo necessariamente “autolesionista”, nemmeno sotto il profilo fiscale.

Allo stesso modo, non è stato considerato che la trasformazione potrebbe essere perfezionata anche allo scopo di assumere un assetto organizzativo dell’impresa più consono all’attività nel prosieguo esercitata, ovvero per altre ragioni comunque meritevoli di tutela, dovendosi infatti indagare se, anche in presenza di un risparmio d’imposta (rectius, nel caso in esame, differimento) potenzialmente indebito, vi fossero però ragioni che consigliassero di condurre l’operazione proprio secondo quello schema, cosa che, quantomeno stando al testo della risposta, non è dato sapere, dovendo essere ovviamente verificata – in un’ottica anti-abuso – “caso per caso”.

In secondo luogo, la tesi interpretativa fatta propria dall’Agenzia delle Entrate presuppone il conseguimento di un indebito vantaggio fiscale dall’operazione posta in essere.

Tuttavia, quello che viene definito – nella risposta all’istanza di interpello – come un indebito vantaggio fiscale è, in realtà, il frutto di un meccanismo impositivo (la pex) che risponde a una ratio ben precisa e prevista “a sistema”, ovverosia alla necessità di evitare una doppia imposizione economica del medesimo fatto indice di capacità contributiva, applicandosi altrimenti prima l’Ires con aliquota del 24% in capo alla società sull’intera plusvalenza e poi l’Irpef (rectius, la ritenuta alla fonte a titolo d’imposta del 26%) in capo al socio, al momento della distribuzione degli utili così realizzati.

Tale doppia imposizione non si verificherebbe, invece, nel caso in cui la plusvalenza fosse realizzata da parte di una società di persone (ovvero anche di una S.r.l. che avesse optato per il regime di “trasparenza fiscale”); in tal caso, infatti, il reddito sarebbe tassato una sola volta ai fini dell’Irpef, in quanto direttamente imputato al socio persona fisica “per trasparenza”, come previsto dall’articolo 5 Tuir, con applicazione della diversa quota imponibile della plusvalenza ai fini dell’Irpef, di cui all’articolo 58, comma 2, Tuir, nella misura del 58,14% del relativo ammontare.

La tesi interpretativa sostenuta dall’Agenzia delle Entrate meriterebbe, quindi, qualche più approfondita riflessione, dal momento che:

  • ove i soci persone fisiche fossero soggetti con elevati redditi imponibili, l’imposizione complessiva che questi sconterebbero nell’un caso (in presenza di trasformazione) o nell’altro (in assenza di trasformazione) sarebbe sostanzialmente allineata, dovendo scontare nel primo caso l’Ires con aliquota del 24% su una base imponibile commisurata al 5% della plusvalenza realizzata, oltre alla ritenuta alla fonte del 26% sugli “utili netti” distribuiti, mentre nell’altro caso l’Irpef ad aliquota marginale del 43%, oltre alle addizionali comunali e regionali (trascurando, per semplicità, il contributo di solidarietà), su una base imponibile commisurata al 58,14% della plusvalenza realizzata. L’unico elemento differenziale sarebbe connesso al diverso momento in cui il contribuente – socio persona fisica – resterebbe inciso dal tributo, in quanto nel primo caso (post trasformazione) la ritenuta alla fonte sarebbe operata soltanto nel successivo momento di distribuzione dei dividendi;
  • ove i soci persone fisiche fossero, invece, dei soggetti con modesti redditi imponibili ai fini dell’Irpef, l’imposizione che questi sconterebbero sarebbe certamente più elevata nel primo caso (post trasformazione), cosicché in tale ipotesi non sarebbe prospettabile alcun vantaggio fiscale dalla descritta operazione, bensì addirittura un aggravio impositivo, in parte compensato dal possibile differimento – sul piano temporale – della distribuzione degli “utili netti”.

Sotto il profilo dell’abuso asseritamente perseguito con la trasformazione, allo scopo di differire il prelievo marginale sugli utili, sarebbe stata, quindi, forse doverosa anche qualche considerazione in più sull’utilizzo delle risorse rivenienti dallo smobilizzo della partecipazione e sull’attività di re-investimento nel prosieguo eventualmente condotta dalla società cedente, che magari suggeriva di privilegiare un diverso assetto organizzativo sociale.

Del resto, ove – post-trasformazione e post realizzo – gli “utili netti” fossero distribuiti ai soci, non sarebbe ottenibile alcun beneficio fiscale, nemmeno in termini di differimento; ove, invece, gli stessi non fossero subito distribuiti, probabilmente l’indagine andrebbe rivolta all’attività di re-investimento nel prosieguo condotta dalla società cedente, che potrebbe al più palesare qualche profilo di criticità – sotto il profilo del possibile abuso – ove si traducesse in investimenti in beni “di godimento” per i soci, non già in nuove aziende, partecipazioni o altri strumenti finanziari d’investimento sul mercato.

In definitiva, pur non avendo piena contezza del caso concreto oggetto della risposta a interpello, la conclusione evincibile dalla risposta dell’Agenzia delle Entrate meriterebbe comunque una riflessione più ampia e compiuta, magari in occasione di una successiva istanza d’interpello, non interpretativo, ovviamente, bensì anti-abuso, su qualche caso contiguo a quello oggetto d’esame, fornendo tutte le informazioni utili per consentire all’Amministrazione finanziaria un vaglio dell’operazione rispettoso di tutte le condizioni previste dall’articolo 10-bis L. 212/2000 per poterne rendere inopponibili gli effetti fiscali

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