dott. Michele Stiz
dottore commercialista e Revisore legale

Treviso, luglio 2019

Si assiste da diversi anni, con sempre maggior frequenza, a contestazioni dell’Amministrazione finanziaria volte a riqualificare, ai sensi della disciplina anti-elusione (attualmente l’articolo 10-bis, L. 212/2000), le cessioni di azioni o di quote sociali realizzate da persone fisiche non in regime d’impresa, previa rideterminazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto, in operazioni elusive di c.d. “leverage cash out”. Con il presente contributo si intendono quindi segnalare taluni chiarimenti resi dall’Amministrazione finanziaria a istanze di interpello non confluite in risoluzioni pubblicamente fruibili, nonché alcune sentenze delle Commissioni Tributarie adite sulla peculiare tematica, per quanto la giurisprudenza sia, allo stato attuale, priva di un orientamento consolidato sul piano del giudizio di legittimità.

Premessa 

Come noto, la disciplina prevista per la rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni sociali detenute da persone fisiche non esercenti attività d’impresa commerciale è stata originariamente introdotta nel nostro ordinamento con l’articolo 5, L. 448/2001 e, nonostante non sia stata  strutturata per operare “a regime”, dal momento della sua introduzione è risultata comunque applicabile  quasi senza soluzione di continuità, per effetto di reiterate “riaperture dei termini” per accedervi1, determinando così la sostanziale coesistenza di regimi di tassazione delle vicende reddituali connesse al disinvestimento delle partecipazioni sociali di tipo “ordinario” e di tipo “straordinario” su base forfetaria. Tale regime “forfetario” ha consentito, nel tempo, la rideterminazione del valore fiscalmente  riconosciuto delle partecipazioni, previo pagamento di un’imposta sostitutiva, la cui efficacia è sempre stata pressoché immediata, potendo addirittura precedere il momento di effettivo pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista. 

Come noto, inoltre, a differenza dell’imposizione ordinariamente gravante sulle vicende reddituali connesse al disinvestimento delle partecipazioni sociali, l’imposta sostitutiva prevista dal regime “forfetario” ha natura patrimoniale, essendo commisurata a una base imponibile rappresentata dall’intero valore corrente delle partecipazioni e non dalla differenza tra tale valore e il rispettivo costo fiscalmente riconosciuto, come generalmente accade nel sistema dell’imposizione sui redditi. 

Ciò premesso, si assiste – come detto – da diversi anni, con sempre maggior frequenza, a contestazioni dell’Amministrazione finanziaria volte a riqualificare, ai sensi della disciplina anti elusione (attualmente l’articolo 10-bis, L. 212/2000), le cessioni di azioni o di quote sociali realizzate da persone fisiche non in regime d’impresa, previa rideterminazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto, in operazioni elusive di c.d. “leverage cash out”, secondo un disegno così articolato (nell’ipotesi più semplice e “tipica”), oltre che di più diffusa contestazione: 

  1. presenza di una società di capitali operativa (A) avente riserve di utili potenzialmente distribuibili ai propri soci;
  2. utilizzo di una seconda società di capitali (B), o di più società di capitali, a volte (ma non necessariamente) neocostituita e, in genere, sostanzialmente priva di propri altri assets, i cui soci sono “di fatto” i medesimi della società A, oppure anche solo alcuni di loro;
  3. i soci persone fisiche – non in regime d’impresa – optano per il regime di rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni, previo pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista;
  4. i soci persone fisiche non in regime d’impresa cedono, poi, le partecipazioni detenute nella società A a beneficio della società B, senza pagamento immediato del corrispettivo da parte di quest’ultima, ovvero con pagamento dilazionato dello stesso, cosicché viene a crearsi un debito della società B nei confronti dei propri soci;
  5. distribuzione dei dividendi da parte della società A a beneficio della società B, la quale farà concorrere tali componenti positivi di reddito alla formazione del reddito imponibile limitatamente al 5% del relativo ammontare, ai sensi dell’esclusione prevista dall’articolo 89, Tuir;
  6. il flusso finanziario così acquisito dalla società B è, infine, utilizzato per pagare il debito residuo nei confronti dei soci persone fisiche relativo all’acquisto delle partecipazioni detenute nella società A, cosicché – secondo la tesi sostenuta dall’Amministrazione finanziaria – i soci entrano sostanzialmente in possesso dei dividendi che in origine avrebbero dovuto ricevere direttamente dalla società A, qualificando formalmente l’erogazione degli stessi quale estinzione di un debito pregresso, così da sottrarsi all’imposizione sugli stessi gravante in via ordinaria.

Ciò brevemente premesso, di seguito si segnalano alcuni chiarimenti resi dall’Amministrazione finanziaria a talune istanze di interpello non confluite in risoluzioni pubblicamente fruibili, nonché alcune sentenze delle Commissioni Tributarie adite sulla peculiare tematica, per quanto la giurisprudenza sia, allo stato attuale, priva di un orientamento consolidato sul piano del giudizio di legittimità. 

La posizione assunta dalla divisione contribuenti dell’Agenzia delle entrate in sede di risposta a istanze di interpello non pubbliche.

Il caso dell’acquisto di azioni proprie da parte di una Spa, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione detenuta dal socio persona fisica non in regime d’impresa.

La fattispecie oggetto dell’istanza di interpello, la cui risposta è stata resa nel giugno 2016, afferisce al caso di un socio persona fisica non in regime d’impresa, titolare di una quota di partecipazione rappresentativa del 50% del capitale sociale di una Spa, il quale – previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto della propria partecipazione, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista – ha ceduto la propria partecipazione alla società da lui prima partecipata, in attuazione di una delibera di riduzione del capitale sociale mediante acquisto e annullamento delle azioni proprie. 

In merito, l’Agenzia delle entrate ha ribadito che “il costo di acquisto “rideterminato” secondo le modalità contenute nelle predette disposizioni è utilizzabile ai fini del calcolo dei redditi diversi di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c) e c-bis), Tuir. In particolare, secondo quanto precisato nella circolare n. 16/E/2005, lo stesso è altresì utilizzabile in occasione del recesso “atipico” del socio dalla società, realizzato mediante acquisto da parte degli altri soci, proporzionalmente alle loro partecipazioni, oppure da parte di un terzo concordemente individuato dai soci medesimi. Diversamente, nell’ipotesi di recesso “tipico”, il valore rideterminato non può essere utilizzato in quanto le somme o il valore normale dei beni ricevuti dai soci costituiscono, ai sensi dell’articolo 47, comma 7, Tuir, “utile” (rectius reddito di capitale) per la parte che eccede il prezzo pagato per l’acquisto o la sottoscrizione delle azioni o quote annullate, inclusa la parte di tali eccedenze che deriva da riserve di capitale. Inoltre, la circolare n. 26/E/2004 ha precisato che il predetto comma 7 si applica con riferimento al recesso “tipico” che comporta l’annullamento delle azioni o quote”. In merito all’operazione oggetto dell’istanza di interpello (acquisto di azioni proprie e annullamento delle stesse in attuazione della volontà assembleare di riduzione del capitale sociale), conformemente a quanto già in passato chiarito dalla prassi ministeriale5, è stato ritenuto che  “sotto il profilo fiscale, si ritiene che l’effetto raggiunto dalla decritta operazione sia inquadrabile nella fattispecie dell’articolo 47, comma 7, Tuir in quanto l’acquisto delle azioni proprie è finalizzato all’annullamento delle stesse nell’ambito di una programmata riduzione del capitale sociale o per effetto di recesso del socio. 

Conseguentemente, relativamente alle partecipazioni oggetto di cessione non assume rilevanza la rideterminazione del valore delle azioni a suo tempo effettuata dal contribuente ai sensi della L. 448/2001 e, successive modificazioni. In particolare, l’articolo 47, comma 7 si applicherà alla differenza tra il costo fiscale della partecipazione annullata (senza considerare la rideterminazione) e il corrispettivo ricevuto, da assoggettare a tassazione come reddito di capitale nei periodi di imposta proporzionalmente al valore delle rate percepite. … Per completezza, si osserva che, ove, invece, l’acquisto delle azioni proprie non fosse stato finalizzato all’annullamento delle stesse (c.d. “recesso atipico”), l’acquisto di azioni proprie da parte della società, sarebbe stato propedeutico all’ingresso di nuovi soci nei mesi successivi all’effettuazione dell’operazione, con la conseguenza che il rimborso del socio sarebbe stato trattato alla stregua di una ordinaria cessione di partecipazioni che dà luogo a redditi diversi”. 

Il caso del conferimento, da parte dei soci persone fisiche non in regime d’impresa, delle partecipazioni detenute in una società operativa a beneficio di una società avente funzione di holding di partecipazione, con l’esclusione del solo socio dissenziente il cui obbiettivo era, invece, quello di cedere le proprie partecipazioni, previa rideterminazione del rispettivo valore fiscalmente riconosciuto.

La fattispecie oggetto dell’istanza di interpello, la cui risposta è stata resa nel maggio 2017, afferisce al caso di una pluralità di persone fisiche non esercenti attività d’impresa commerciale, soci di 2 società di capitali (con le medesime percentuali di partecipazione), le quali, nell’ambito di un’operazione di riorganizzazione societaria finalizzata al riordino degli assetti proprietari, hanno conferito le partecipazioni detenute nella società operativa a beneficio dell’altra società, così da attribuirle le funzione di holding di partecipazione del gruppo di imprese.

A tale operazione di riorganizzazione societaria, tuttavia, non intendeva partecipare uno soltanto dei predetti soci (dissenziente), il cui obbiettivo era, invece, quello di cedere le proprie partecipazioni, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle stesse, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista. 

In merito, l’Agenzia delle entrate ha precisato che  La cessione delle azioni del socio [dissenziente] a favore della [società esercente funzioni di holding] che le acquisisce, eventualmente, ricorrendo a indebitamento, il cui rimborso avverrebbe attraverso la distribuzione di dividendi già maturati dalla società conferita [società operativa], costituisce sostanzialmente una operazione di “Buy out”, da ritenersi, però non in contrasto con la ratio delle disposizioni del sistema tributario, anche in base a quanto esposto dall’Agenzia delle entrate con la circolare n. 6/E/2016. In particolare, al § 2.2 della citata circolare, si chiarisce che sono da ritenersi sindacabili le operazioni di leveraged buy out ove all’operazione abbiano concorso i medesimi soggetti che, direttamente o indirettamente, controllano la società target. Tale effetto, nel caso di specie, non ricorre poiché il socio [dissenziente] esce dalla compagine societaria sia della [società operativa] sia dalla compagine della società conferitaria [società esercente funzioni di holding]. Pertanto, non si riscontra alcun indebito risparmio di imposta nella condotta del socio [dissenziente] che si è avvalso della legge di rivalutazione per le azioni della [società operativa], prodromica alla successiva cessione alla [società esercente funzioni di holding], da cui è derivato il mancato conseguimento della plusvalenza sulle citate azioni, ancorché il prezzo a egli corrisposto dalla [società esercente funzioni di holding] sarà finanziato con i dividendi già maturati in capo alla [società operativa], oggetto di successivo conferimento nella [società esercente funzioni di holding]; ciò è conforme alla ratio della medesima legge di rivalutazione per i fatti sopra esposti. Sempre sotto un profilo anti abuso, in merito alla condotta del medesimo socio, …, per quanto concerne la cessione delle quote della [società esercente funzioni di holding] agli altri soci che eserciteranno il diritto di prelazione in conformità allo Statuto societario, si ritiene che ciò non configuri un indebito risparmio di imposta sia in quanto dette quote non sono state oggetto di alcuna rivalutazione, sia in quanto detta cessione è strumentale all’uscita del socio [dissenziente]”. 

Il caso dell’acquisto, da parte di una società esercente funzioni di holding di partecipazioni, delle quote detenute dai soci di minoranza, persone fisiche non in regime d’impresa (previa rideterminazione del rispettivo valore fiscalmente riconosciuto), in una società dalla prima già controllata, la quale utilizzerebbe i proventi derivanti dai dividendi della medesima controllata per liquidare il corrispettivo riconosciuto ai soci uscenti.

La fattispecie oggetto dell’istanza di interpello, la cui risposta è stata resa nel giugno 2017, afferisce al caso di una società esercente l’attività tipica delle holding di partecipazioni, la quale intendeva incrementare la propria quota di partecipazione in una società già controllata, acquisendo le azioni detenute da alcuni soci di minoranza, persone fisiche non in regime d’impresa, utilizzando i proventi derivanti dai dividendi della medesima controllata per liquidare il corrispettivo riconosciuto ai soci uscenti. Questi ultimi, per contenere il carico impositivo, intendevano fruire della disciplina prevista per la rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle proprie partecipazioni, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista. 

In merito, l’Agenzia delle entrate ha evidenziato che “la regolazione del prezzo della prospettata cessione grazie ai flussi reddituali della società target, attesa la rivalutazione delle quote da parte dei possibili venditori persone fisiche (laddove effettuata), potrebbe in effetti fondare una contestazione di c.d. “cash out” – ovvero una forma di arbitraggio fiscale tra il regime di tassazione dei dividendi e quello della cessione delle partecipazioni previamente rivalutate – qualora, come però escluso espressamente dall’istante, si ravvisasse una circolarità dell’operazione, nel senso della sostanziale coincidenza soggettiva (una “cessione a sé stessi” in senso ampio) tra soggetti venditori e acquirente”, situazione che potrebbe verificarsi qualora la società acquirente fosse controllata, direttamente o indirettamente, anche tramite interposta persona, dagli stessi soci uscenti. 

In quest’ultima ipotesi, il vantaggio fiscale conseguito sarebbe da qualificare come indebito ai sensi dell’articolo 10-bis, L. 212/2000, “in quanto il risultato nell’insieme conseguito dai contribuenti si porrebbe in contrasto con la ratio della disposizione di cui all’articolo 47, comma 1, Tuir, che disciplina la distribuzione di utili da parte di soggetti passivi Ires”. Tale vantaggio indebito “consisterebbe nella possibilità, per i soci persone fisiche cedenti, di incassare i dividendi della target, subendo un prelievo inferiore a quello che si sarebbe determinato a seguito della distribuzione diretta (i.e. in assenza di rivalutazione e cessione delle partecipazioni non qualificate) dei dividendi ai soci persone fisiche, che avrebbe dato luogo all’applicazione, al momento della loro corresponsione, di una ritenuta a titolo d’imposta del 26% (da luglio 2014) sull’intero ammontare, senza possibilità di opzione per la tassazione ordinaria”. 

Ad analoghe conclusioni dovrebbe giungersi – a parere dell’Amministrazione finanziaria – “anche nel caso in cui, dopo la cessione delle partecipazioni rivalutate, i soci cedenti acquisissero, anche di fatto, una qualsivoglia forma di controllo, anche indiretto (per il tramite della società acquirente), sulla gestione della società ceduta (attraverso atti, fatti e/o negozi giuridici successivi alla cessione) o l’acquisto da parte dei medesimi, a qualsiasi titolo, di un ruolo di controllo nella gestione dell’acquirente (a mero titolo esemplificativo, la nomina di uno dei soci uscenti a presidente del CdA o amministratore unico della medesima”. 

Con la risposta è stata, quindi, sancita la legittimità – in linea di principio – di talune operazioni di c.d. “family buy out”, fattispecie configurabile allorquando “all’interno di una società o azienda di famiglia alcuni familiari intendano acquisire il controllo maggioritario o totalitario, facendo in modo di escludere i familiari con visioni strategiche divergenti o non più interessati a partecipare all’attività di impresa. Nel caso del family buy out, il familiare … che intende acquistare le partecipazioni societarie degli altri familiari …, ma che non abbia la necessaria capacità finanziaria, ricorre a un mutuo bancario garantito dai futuri flussi reddituali e dalla consistenza del patrimonio della società di famiglia (“target” o “bersaglio”). Il familiare che intende acquisire il controllo della società di famiglia crea solitamente una nuova società …, la quale ottiene il finanziamento bancario che servirà per acquistare le quote di titolarità degli altri familiari nella società target. Così facendo, il familiare che intende acquisire l’intero capitale sociale della società di famiglia ottiene le risorse finanziarie necessarie allo scopo. Successivamente la target viene fusa per incorporazione nella società acquirente, che diviene così capace, con i flussi di cassa e i redditi della società acquisita, a rimborsare alla banca il finanziamento ottenuto per l’acquisizione”. 

La posizione assunta dalle Commissioni Tributarie

Il caso dell’acquisto di azioni proprie da parte di una Spa, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni detenute dai soci persone fisiche non in regime d’impresa Favorevole al contribuente è la sentenza della CTP di Vicenza n. 696/2017. 

In merito alla cessione delle azioni, da parte del socio di una Spa, previa rideterminazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista, da riqualificare – a parere dell’ufficio – nel mero recesso del socio, cosicché nessuna valenza veniva riconosciuta alla rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione e, per l’effetto, veniva recuperata a imposizione l’imposta sul reddito ordinariamente gravante sulla persona fisica (ad aliquote crescenti per scaglioni di reddito), la CTP di Vicenza ha innanzitutto osservato che “il Legislatore sin dall’anno 2001, con L. 448/2001 (articoli 5 e 7) ha previsto la facoltà in capo al socio di provvedere alla rivalutazione delle partecipazioni societarie possedute tramite la preventiva redazione di perizia di stima giurata e il successivo versamento della imposta sostitutiva, da calcolarsi con l’applicazione della aliquota del 2% ovvero del 4%, rispettivamente per le partecipazioni a società non quotate ovvero a quelle quotate in borsa. Tale facoltà è stata confermata anche negli anni successivi sino all’anno in corso, salvo che il Legislatore ha poi previsto l’incremento delle aliquote relative alla imposta sostitutiva. La normativa innanzi richiamata è volta derogare alla disciplina ordinaria della imposizione delle plusvalenze emergenti in occasione della cessione della partecipazione, giacché consente al socio che se ne sia avvalso di assumere, quale valore iniziale delle partecipazioni, quello rivalutato in forza della perizia giurata, in luogo del valore originario di acquisto. Ne consegue che il Legislatore ha inteso introdurre detta facoltà onde accordare al contribuente un risparmio fiscale”. 

Ha, quindi, concluso in senso favorevole al contribuente, precisando che, “in assenza di variazioni del capitale sociale e dello stato patrimoniale, l’acquisto di azioni proprie concluso dalla … deve qualificarsi come compravendita e tale deve considerarsi anche ai fini fiscali. Nessuna operazione elusiva può pertanto essere configurata nella cessione delle partecipazioni possedute da …, il quale al fine si è legittimamente avvalso della facoltà di rivalutazione della partecipazione con il pagamento della imposta sostitutiva assumendo poi, quale valore iniziale, quello così rivalutato ai fini del calcolo della eventuale plusvalenza imponibile”. Favorevole al contribuente è anche la sentenza della CTR del Piemonte n. 1463/VII/2017. 

La CTR del Piemonte ha respinto la tesi sostenuta dall’ufficio secondo cui, la cessione delle azioni da parte del socio di una Spa, previa rideterminazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista, sarebbe da riqualificare nel mero recesso del socio, cosicché nessuna rilevanza assumerebbe la predetta rideterminazione e, per l’effetto, sarebbe da recuperare a imposizione l’imposta sul reddito ordinariamente gravante sulla persona fisica (ad aliquote crescenti per scaglioni di reddito). In merito, è stato precisato che “è indubbio che il recesso del socio e la compravendita di azioni proprie hanno una specifica disciplina e differenti caratteristiche e finalità. Non appare dunque fondata quanto alla disciplina fiscale, in assenza di una normativa ad hoc, una loro assimilazione e una loro completa e scontata equivalenza. La tesi dell’ufficio per cui la compravendita sia sempre e comunque equiparabile al recesso del socio quanto agli effetti fiscali, stante la diversità dei 2 istituti non può essere condivisa. Per potersi avvalorare la tesi secondo cui la compravendita di azioni proprie costituisce recesso del socio con conseguente liquidazione tramite la distribuzione di utili, sarebbe stato necessario fornire prove specifiche a sostegno di quanto ipotizzato. Cosa che in realtà non è avvenuto, mentre risulta accertato e comunque non contestato il fatto che le azioni non siano state annullate e che siano tuttora detenute dalla società”. 

Sfavorevole al contribuente è, invece, la sentenza della CTP di Vicenza n. 101/IV/2018. 

In merito alla cessione delle azioni da parte del socio di una Spa, previa rideterminazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto, considerata dall’ufficio alla stregua del recesso del socio, la CTP di Vicenza ha innanzitutto osservato che “le azioni del … siano state pagate utilizzando i fondi della detta riserva costituita da utili, e dunque che tale operazione di acquisto di azioni appaia nella sostanza assimilabile a una distribuzione degli stessi, non sembra dubitabile e anzi trova conferma persino sotto il profilo contabile”. 

Ha, quindi, concluso in senso sfavorevole al contribuente, salvo ritenere la condotta non sanzionabile per “obiettiva incertezza interpretativa”, ritenendo che: “Se formalmente si è trattato di una cessione con relativo corrispettivo pagato, in realtà si è proceduto a una distribuzione degli utili accumulati, distribuzione più o meno rilevante di utili a un socio persona fisica, distribuzione che appunto l’ordinamento tributario vuole vada tassata a tale titolo in una certa maniera, e cioè nel nostro caso con ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, e non in altra forma derivante da una operazione diversa così come effettuato, con evidente aggiramento del principio tributario circa la distribuzione degli utili e del ripetuto articolo 27, comma 1, D.P.R. 600/1973. È questo quindi il punto di confronto fra il modo di operare corretto, che individua le operazioni per quello che sono e ne applica la relativa tassazione, e quello invece elusivo, che travisa la sostanza delle stesse e, in conclusione, consiste, sotto il profilo operativo, nell’aver trasformato una distribuzione di utili su partecipazioni in una cessione delle stesse. … Parte ricorrente ha inoltre cercato di addurre delle scriminanti al proprio comportamento con la tesi della graduale uscita da parte del … dalla compagine sociale e organizzativa della società, ma anche tale tesi, a titolo di valide ragioni giustificative extrafiscali, non marginali, è risultata debole e non conclusiva né significativa, opposta peraltro dall’ufficio con la dimostrazione che anche negli anni successivi il detto socio aveva una parte rilevante nella gestione, dando indicazione che veniva anche a percepire per la propria opera in … degli emolumenti superiori a quelli corrispostigli negli anni precedenti. In ogni caso la detta giustificazione non risponde neppure agli ulteriori specifici criteri giustificativi dettati dal legislatore circa eventuali finalità di “miglioramento strutturale o funzionale dell’impresa ovvero dell’attività professionale del contribuente”.

Favorevole al contribuente è la sentenza della CTP di Treviso n. 187/2018. 

In merito all’asserito conseguimento di un indebito vantaggio fiscale in capo a una società per effetto dell’acquisizione di azioni proprie dai soci, previamente rivalutate dagli stessi, con pagamento del prezzo dilazionato nel tempo e correlato alla distribuzione dei dividendi alla controllante da parte della società acquisita, la CTP di Treviso, rilevato “che l’atto notificato alla società e dalla stessa impugnato sia nullo, in via pregiudiziale e assorbente, in ragione della mancata instaurazione del contraddittorio previsto a pena di nullità dall’articolo 10-bis, comma 6, L. 212/2000”, ha comunque ulteriormente precisato che: “Nel caso in esame, non si può affermare che il complesso dei negozi compiuti sia privo di valide ragioni economiche, giacché il processo di complessiva riorganizzazione e ristrutturazione della società incide in modo rilevante e significativo nelle attività economiche da questa realizzate. … L’acquisto di azioni proprie ha quindi permesso l’effetto voluto di modificare le maggioranze in sede deliberativa, soprattutto in sede straordinaria, evitando che le prese di posizione di alcuni soci implicassero modifiche statutarie …. Né si può rinvenire, nel complesso degli atti e dei negozi realizzati nell’ambito delle operazioni di riorganizzazione, anche se valutati in collegamento tra loro, qualche carattere di artificiosità, mediante l’utilizzo anormale di strumenti giuridici peraltro consentiti, al fine di ottenere riduzione d’imposta ovvero rimborsi altrimenti non spettanti”. 

Favorevole al contribuente è la sentenza della CTP di Padova n. 48/I/2019. 

In merito all’acquisto di azioni proprie da parte di una società, previamente rivalutate da parte dei soci persone fisiche, avvenuto – a parere dell’ufficio – senza valide ragioni economiche, e posto in essere al fine di dissimulare una distribuzione di utili, la CTP di Padova ha ritenuto che “non può in alcun modo essere iscritto all’abuso del diritto l’acquisto di azioni proprie da parte di una società, previamente rivalutate dall’azionista cedente, trattandosi di un comportamento perfettamente legittimo e previsto dal sistema. L’ufficio non ha fornito una adeguata motivazione in merito ai requisiti richiesti per poter riqualificare l’operazione contestata, che avrebbe dovuto essere analizzata anche in merito ai comportamenti tenuti dalla società acquirente”. 

Il caso della costituzione di una società da parte di persone fisiche non esercenti attività d’impresa, a cui sono state cedute le partecipazioni da questi detenute (direttamente o indirettamente) in un’altra società, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni, con pagamento del prezzo dilazionato nel tempo e correlato alla distribuzione dei dividendi alla controllante da parte della società acquisita Favorevole al contribuente è la sentenza della CTP di Vicenza n. 735/II/2016.

In merito alla controversia, avente per oggetto la costituzione di una società da parte di persone fisiche non esercenti attività d’impresa, a cui sono state cedute le partecipazioni da questi detenute in un’altra società, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni, con pagamento del prezzo dilazionato nel tempo e correlato alla distribuzione dei dividendi alla controllante da parte della società acquisita – considerata dall’ufficio quale operazione “circolare”, “priva di sostanza economica e connotata da finalità extra fiscali del tutto marginali”, mediante la quale “si sarebbe quindi realizzato l’intento elusivo, giacché i ricorrenti avevano formalmente incassato il corrispettivo della vendita delle azioni, ma nella sostanza avevano percepito dividendi azionari sottraendoli alla relativa ingente imposizione” – la CTP di Vicenza ha accolto il ricorso presentato dai contribuenti, sul presupposto che la tesi sostenuta dall’ufficio “ignora la volontà dei ricorrenti di procedere al riassetto della società del gruppo e di costituire una holding per il controllo delle partecipazioni azionarie delle predette società, anche in vista di eventuali cessioni a terzi di rami d’azienda o imprese del gruppo”; inoltre, “il riassetto societario perseguito tramite la costituzione della società … e la cessione a quest’ultima del pacchetto azionario della …, non può considerarsi artificioso. I ricorrenti hanno infatti costituito una impresa holding, adottando la forma giuridica societaria ontologicamente atta allo scopo. Hanno altresì concluso il contratto di compravendita di azioni altrettanto confacente al fine. La attuazione dello scopo tramite una cessione c.d. “circolare”, poi è obiezione debolmente fondata. Ciò in quanto sotto il profilo strettamente giuridico-formale tale coincidenza non è riscontrabile. Da un lato i cedenti il pacchetto azionario della … sono persone fisiche (i ricorrenti), dall’altro lato la cessionaria è una persona giuridica …. In definitiva i contribuenti hanno prospettato e corroborato che la fattispecie complessa da essi posta in essere non si appalesa priva di sostanza economica, mentre l’ufficio non ha contestato in modo idoneo sotto il profilo logico-giuridico le argomentazioni dei ricorrenti”. 

Favorevole al contribuente è anche la sentenza della CTP di Treviso n. 144/I/2018. 

In merito a una controversia avente per oggetto una fattispecie analoga alla precedente, la CTP di Treviso, preso atto che “L’Agenzia contesta, negli atti impugnati, che l’operazione di creazione di una holding, pur risultando legittima, dovrebbe naturalmente avvenire mediante conferimento e non mediante cessione di quote societarie”, ha ritenuto di non condividere la tesi paventata dall’ufficio, sul presupposto che “non è possibile fare delle generalizzazioni e qualificare l’operazione che usa la cessione come elusiva tout court rispetto al conferimento. La costituzione della holding può avere valide ragioni che devono essere attentamente valutate dall’Amministrazione finanziaria: si pensi al caso di passaggio generazionale, come potrebbe essere il caso di specie, la cessione del controllo ai figli tramite la vendita della nuova holding di famiglia non può essere considerato elusivo tutte le volte in cui l’operazione ha determinato, nella sostanza, il change of control. In sostanza, ad avviso della Commissione, trattandosi di una norma antielusiva, l’eventuale vantaggio tributario può essere disconosciuto solamente in mancanza dei presupposti richiesti dalla norma, quali l’assenza di valide ragioni economiche o l’illecito risparmio d’imposta. … Pertanto, visto il realizzarsi delle cessioni delle quote societarie, non si intravede l’intento elusivo e visto, poi, che il vantaggio tributario viene a consistere in un differimento temporale di tassazione (tassazione immediata in caso di distribuzione di utili; tassazione rinviata, nel caso in esame, al momento della cessione); si tratta, in sostanza, non di un aggiramento di norme o principi di ordinamento tributario-fiscale, ma di un’opzione di scelta concessa al contribuente dalle stesse norme vigenti nel campo giuridico-fiscale”. 

Sfavorevole al contribuente è, invece, la sentenza della CTP di Reggio Emilia n. 182/II/2018. 

In merito è stato precisato che è “indubitabile che il risultato finale sia stato quello di percepire dividendi sub specie di pagamento di un corrispettivo che ha scontato un’imposta, sostitutiva, 4%, ben minore di quella ordinaria, che il ricorrente avrebbe dovuto versare se avesse incassato i dividendi sottoponendoli a imposizione ex articolo 47, Tuir, indubitabile anche che il vantaggio fiscale ottenuto sia indebito, in quanto realizzato in contrasto con le finalità delle norme fiscali in ordine all’imposizione dei dividendi percepiti da una persona fisica”. 

Il caso della cessione da parte di persone fisiche non in regime d’impresa delle partecipazioni detenute in una società a beneficio di altra società appartenente al medesimo gruppo di imprese, già socia della società le cui quote sono state oggetto di compravendita, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni.

Favorevole al contribuente è la sentenza della CTP di Vicenza n. 722/I/2017. 

La fattispecie in contestazione afferisce al caso della cessione da parte di persone fisiche non in regime d’impresa delle partecipazioni detenute in una società a beneficio di altra società appartenente al medesimo gruppo di imprese, già socia della società le cui quote sono state oggetto di compravendita, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni. 

A parere dell’ufficio, “anziché adottare il comportamento “fisiologico” consistente nell’applicazione, all’atto della distribuzione dei dividendi in capo alle persone fisiche, della disciplina di cui all’articolo 47, comma 1, Tuir … ovvero di cui all’articolo 27, comma 1, D.P.R. 600/1973…, il contribuente avrebbe adottato un comportamento patologico, previa rivalutazione delle partecipazioni con applicazione dell’articolo 5, L. 448/2001 (e successive modificazioni) ha ceduto le quote. L’Amministrazione ritiene che l’elusività consista nello sfruttamento della norma di legge che consente la rivalutazione con l’intento di trasformare il dividendo (con aliquota in questo caso al 43% …) in plusvalenza con applicazione dell’aliquota del 4% che è l’imposta sostitutiva”. 

In merito, la CTP di Vicenza, nell’esaminare nel merito la questione, ha ritenuto non riscontrabile, nel caso di specie, un disegno elusivo del contribuente, visto il “lunghissimo periodo temporale intercorso tra l’inizio dell’operazione e le conseguenze (distribuzione di dividendi) potenziali che si protrarrebbero nel tempo fino alla totale distribuzione degli utili (… effettivamente distribuiti fino a oggi). … Le valide ragioni economiche infine vengono ravvisate nell’interesse reale della società alla creazione di una holding al legittimo fine di poter eventualmente commercializzare la società operativa nell’ottica di una legittima strategia economica di sviluppo del gruppo”. 

Favorevole al contribuente è anche la sentenza della CTP di Forlì n. 89/I/2018. 

La fattispecie in contestazione afferisce al caso della cessione da parte di persone fisiche non in regime d’impresa delle partecipazioni detenute in una società a beneficio di altra società riconducibile al medesimo gruppo di imprese, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni.

A parere dell’ufficio avrebbero dovuto essere riqualificati “come distribuzione indiretta di utili non tassati ex articolo 47, Tuir gli atti di cessione … con i quali … e sua moglie … cedevano le quote della società … nella misura dell’85% complessivo, alla società … (quote precedentemente rivalutate con il pagamento dell’imposta sostitutiva del 4%, con conseguente mancata generazione di plusvalenza tassabile)”. 

In merito, la CTP di Forlì ha accolto in senso favorevole il ricorso presentato dai contribuenti, ritenendo che “le operazioni di cessione contestate risultano congruamente motivate con la concreta esigenza di riassetto organizzativo e funzionale del gruppo …”; inoltre, “nelle operazioni di cessione non risulta esservi verificato alcun “indebito risparmio d’imposta”, dal momento che i soci avevano già assoggettato a tassazione l’intero capital gain presente nelle proprie partecipazioni utilizzando l’istituto legittimo della rivalutazione delle partecipazioni a mezzo imposta sostitutiva; costituendo l’utilizzo della soluzione fiscalmente meno oneroso nell’ambito di un’articolata operazione di riassetto societario un legittimo risparmio d’imposta. Disponendo in generale il contribuente di assoluta libertà nella scelta tra i diversi regimi opzionali previste dalla legge per come ribadito dal quarto comma dell’articolo 10-bis, L. 212/2000”. 

Il caso della cessione della partecipazione totalitaria in una società detenuta da persona fisica non esercente attività d’impresa a beneficio dei propri figli, previa rideterminazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto, cui faccia seguito la cessione di tali partecipazioni, previa rideterminazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto, a beneficio di altra società dagli stessi partecipata e la successiva fusione per incorporazione delle due entità giuridiche Favorevole al contribuente è la sentenza della CTP di Bergamo n. 576/2017. 

La fattispecie in contestazione afferisce il caso dell’unico socio di una società che aveva ceduto la propria partecipazione ai figli, tenendo per sé una residua partecipazione rappresentativa dell’1% del capitale sociale, previa rideterminazione del relativo valore fiscalmente riconosciuto, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista. 

A breve distanza di tempo, tali partecipazioni erano state poi oggetto di un successivo contratto di compravendita a beneficio di una società partecipata dagli stessi soggetti, previa rideterminazione del valore fiscalmente riconosciuto delle partecipazioni, mediante il pagamento dell’imposta sostitutiva all’uopo prevista. La riorganizzazione in contestazione aveva poi avuto come epilogo la fusione per incorporazione delle 2 entità giuridiche. 

A parere dell’ufficio, “la liquidazione del socio … e il subentro nella compagine sociale dei figli di … si era realizzata con l’utilizzo della liquidità della …: sicché, in altri termini, … facendo ricorso alla liquidità della società, aveva ceduto a se stesso la propria partecipazione nella Snc, con l’ulteriore effetto di indebitare la … mediante l’accensione di un mutuo bancario, al fine di reperire parte delle risorse finanziarie necessarie alla liquidazione dell’altro socio. In sostanza dall’operazione circolare così concretatasi era derivata una distribuzione di dividendi al socio … senza scontare l’appropriata tassazione”. 

In merito, la CTP di Bergamo ha ritenuto che:

“se vi è stato un vantaggio fiscale per i soci, certamente non si è trattato di un vantaggio indebito: giacché non vi è stata elusione delle norme tributarie, né uso improprio degli istituti giuridici per finalità diverse da quelle cui erano destinati. Ma anche nell’identificare i pretesi vantaggi l’Agenzia delle entrate propone una ricostruzione non condivisibile, là dove sostiene che … avrebbe in definitiva ceduto a sé stesso la propria partecipazione nella Snc, così giovandosi di una distribuzione dei dividendi sottratta a tassazione. L’assunto non tiene conto del fatto che la cessione delle quote di partecipazione nella società … ha avuto quale unica acquirente la società …; la quale, essendo una società di capitali, ha personalità giuridica distinta da quella dei singoli soci e non può in alcun modo identificarsi con … per quanto questi sia amministratore unico e titolare della quota maggioritaria. Orbene, detta società si è bensì indebitata (portando peraltro in deduzione gli interessi passivi) contraendo un mutuo bancario, ma ha avuto come contropartita l’acquisto dell’intero patrimonio dell’incorporata Snc; né spetta a questa commissione esprimere un giudizio sulla convenienza economica, per essa, dell’operazione nel suo complesso, in un giudizio che ha per oggetto soltanto la condotta di … sotto il profilo di cui all’articolo 10-bis, L. 212/2000”. 

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Treviso, Luglio 2019