Treviso, li 25 gennaio 2021

Rischiano il proprio personale patrimonio i coniugi che cogestiscono società con il comune intento di realizzare un profitto personale a scapito delle stesse, potendo fallire in esito al fallimento della holding familiare di fatto tra gli stessi ravvisabile.
Sono queste, in estrema sintesi, le implicazioni che emergono dalla sentenza n. 86 del Tribunale di Vicenza del 6 ottobre scorso.

Il caso di specie riguarda due coniugi (Tizio e Caia) titolari di due srl (di cui sono soci unici e amministratori unici): la Alfa srl e la Beta srl. Il fallimento di quest’ultima faceva nascere l’esigenza di coinvolgere i coniugi a prescindere dall’autonomia patrimoniale perfetta correlata alla personalità giuridica della fallita.
Si evidenziava, quindi, come: la Alfa srl affittava alla Beta srl l’azienda per poi cancellarsi dal Registro delle imprese; Tizio era garante della Beta srl ed era legato alla stessa da un contratto di associazione in partecipazione che gli consentiva di percepire ingenti utili (a questi si aggiungeva la percezione di generici compensi); al momento dell’emersione della crisi della Beta srl, questa “scindeva” il suo patrimonio immobiliare in una nuova società, distraendolo dalla propria destinazione di garanzia dei propri creditori sociali; Caia prelevava indebitamente somme di denaro dalle casse di Beta srl; Tizio e Caia costituivano una srls, intestandola a un familiare e riservandosi l’amministrazione; alla srls veniva affittata l’azienda della Beta srl per soli 3.000 euro l’anno.

Rispetto a tale complessiva situazione, i giudici del Tribunale di Vicenza sottolineano come sia configurabile una holding familiare di fatto, perché ogni società, benché intestata a uno solo dei soci (coniugi), agisce sulla base di decisioni prese da una sorta di CdA esterno, composto dagli stessi soci.
L’estrema vicinanza operativa dei due coniugi non è ritenuta giustificabile dalla mera affectio familiaris, perché il rapporto di affari, sorto prima del matrimonio, sovrasta, per intensità ed estensione, ogni possibile “alibi familiare” ed è diretto a una cogestione di enti da parte dei soggetti medesimi finalizzata alla realizzazione di un profitto personale a scapito delle società eterodirette.

Sono ravvisabili, inoltre, i requisiti della holding di fatto, che consistono: nella eterodirezione da parte dei soggetti coinvolti, con esautoramento degli enti governati dall’esterno, non occorrendo la spendita del nome, irrilevante nel caso di holding di fatto, che potrebbe anche non spenderlo mai; nell’organizzazione imprenditoriale, ravvisabile nella stessa struttura d’impresa propria delle società eterodirette; nell’utilità della holding società di fatto nella distrazione a proprio favore di profitti aziendali delle società (cfr. Cass. n. 10507/2016).
In particolare, è individuata una struttura per la gestione apicale che rappresenta il vero imprenditore (o l’imprenditore effettivo) che, in base al principio di effettività, è colui che, in ultima analisi, prende le decisioni dell’impresa e fa propri gli utili, anche solo sperati.

Nella specie, è, quindi, ravvisata la responsabilità da illecita attività di direzione e coordinamento, ex art. 2497 c.c., per la diminuzione del patrimonio realizzatasi a causa delle malversazioni della holding in danno delle società “governate” (cfr. Cass. n. 24943/2019).

Inoltre, dal momento che la holding familiare di fatto non risulta dotata di sostanze tali da far fronte al debito conseguente alla responsabilità da illecita attività di direzione e coordinamento, e che tale situazione non appare riconducibile a una momentanea situazione di illiquidità, è dichiarato il fallimento della società di fatto holding e dei soci illimitatamente responsabili.

Per quanto connotata da caratteristiche peculiari, appare evidente come la decisione in commento induca a prestare adeguata attenzione alle condotte che si tengono in contesti societari familiari, ove se non si voglia mettere a rischio anche il proprio patrimonio personale, nonostante la presenza (teorica) della barriera rappresentata dalla personalità giuridica.

Da questo punto di vista, peraltro, appare importante ricordare come il Tribunale di Napoli, nell’ordinanza 6 marzo 2018, abbia stabilito che, nel caso di una pluralità di società riconducibili a più persone fisiche appartenenti alla medesima famiglia, è ravvisabile tra le stesse una società di fatto/holding pura, volta a occuparsi di fornire un livello decisionale unitario e sovraordinato rispetto alle singole società del gruppo, ove si accerti la presenza dei seguenti elementi: la coincidenza della sede legale (ovvero di quella operativa) per gran parte delle società del gruppo (sede, peraltro, coincidente con il domicilio dei membri della famiglia); la denominazione quasi identica di molte società, spesso aventi il medesimo oggetto sociale, in modo da apparire anche nei confronti dei terzi come un’unica realtà imprenditoriale; la comunanza, in molti casi, del collegio sindacale; la realizzazione di numerose operazioni intercompany. Tra le altre, trasferimenti di immobili, passaggi di denaro, sottrazioni di clientela e distrazioni operate da una società, poi dichiarata fallita, in favore di altre società del gruppo.

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