Giancarlo Garioni
dottore commercialista e Revisore Legale

Treviso, agosto 2019

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27163/2018, è tornata a occuparsi dell’individuazione di un amministratore di fatto. Il caso vedeva la dipendente di una società sul banco degli imputati per il reato di bancarotta fraudolenta, in quanto amministratrice di fatto della società medesima.

Secondo i giudici si configurano i presupposti per l’applicabilità della figura “dell’amministratore di fatto” ogniqualvolta emerga la partecipazione attiva alla gestione sociale dell’amministratore. In presenza di specifiche e non occasionali attività di gestione, oppure di precise condotte aventi rilevanza esterna si appalesa la figura dell’amministratore di fatto e tali elementi devono ingenerare nei terzi il convincimento che questo soggetto sia il gestore della società.

L’estensione della qualifica soggettiva individuata nell’art. 2639 C.C. presuppone l’esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione; gli elementi della “significatività” e della “continuità” non comportano necessariamente l’esercizio di tutti i poteri dell’organo di gestione, ma richiedono in ogni caso l’esercizio di un’apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico od occasionale. L’art. 2639 C.C. è stato riformulato dal D.Lgs. 61/2002 e la nuova versione ha previsto che alla figura dell’amministratore di diritto sia equiparato chi svolge di fatto la stessa funzione: si tratta di soggetti non formalmente investiti da una qualifica tipica, ma comunque operativi con continuità nelle scelte sociali.

In pratica, il Legislatore, recependo la giurisprudenza maggioritaria, ha reso irrilevante la denominazione formale dell’incarico eventualmente rivestito, rispetto al contenuto reale dei poteri esercitati. Il concetto di potere è riferito al ruolo svolto da chi autonomamente può indirizzare la società nelle proprie scelte, anche in concorso con altri soggetti di diritto. L’amministratore di fatto, quindi, non deve necessariamente esercitare le sue funzioni in via esclusiva: egli può anche affiancare l’amministratore di diritto.

Secondo i giudici, la prova della posizione di amministratore di fatto implica l’accertamento della sussistenza in capo all’imputato di tale qualifica, accertamento che deve tenere conto di una serie di indici sintomatici tipizzati dalla prassi giurisprudenziale, quali il conferimento di deleghe in favore dell’amministratore di fatto per settori fondamentali dell’attività di impresa, la diretta partecipazione alla gestione della vita societaria, la costante assenza dell’amministratore di diritto, la mancata conoscenza di quest’ultimo da parte dei dipendenti, il conferimento di una procura generale ad negotia, quando questa, per l’epoca del suo conferimento e per il suo oggetto con l’attribuzione di poteri ampi e autonomi, fosse sintomatica dell’esistenza del potere di esercitare attività gestoria in modo non episodico nè occasionale.

La pronuncia della Corte aiuterà a fare chiarezza in un ambito per il quale, nel tempo, sono state contestate diverse violazioni, non solo a coloro che ufficialmente rivestono la carica di amministratori di impresa, ma anche a chi, all’esito delle indagini, ne risulta il reale gestore.

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