L’inefficacia degli effetti traslativi dell’immobile ripristina la situazione preesistente sul cespite

Con l’ordinanza n. 377, depositata ieri, la Corte di Cassazione ha stabilito che il diritto personale di godimento del coniuge separato, assegnatario della casa familiare, sebbene non trascritto, è opponibile a fallimento dell’altro coniuge.

Nel caso di specie, i coniugi convenivano, in sede di separazione personale, l’assegnazione della casa coniugale al primo coniuge con obbligo per il secondo di trasferire la proprietà del medesimo immobile entro due anni dall’omologazione della separazione. La pattuizione non veniva trascritta. Omologata la separazione, veniva realizzato il trasferimento dell’immobile con trascrizione presso la Conservatoria dei Registri immobiliari successivamente all’annotazione della sentenza di fallimento del (secondo) coniuge/cedente, quale socio illimitatamente responsabile di una snc parimenti fallita, presso il Registro delle imprese.

Secondo la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 3086/2018), l’art. 44 commi 1 e 2 del RD 267/42, prevedendo l’inefficacia, rispetto ai creditori, degli atti compiuti dal fallito e dei pagamenti da lui eseguiti dopo la dichiarazione di fallimento, costituisce un corollario della perdita del potere di disposizione dei beni acquisiti al fallimento (art. 42 del RD 267/42), che assicura la par condicio creditorum.
Sotto il profilo giuridico, è irrilevante anche l’eventuale buona fede del terzo: l’inefficacia, infatti, costituisce una sanzione di carattere obiettivo, che prescinde dalla conoscenza dell’intervenuta dichiarazione di fallimento della controparte.

Attesa la predetta inefficacia del trasferimento nei confronti del fallimento, la vertenza impatta sull’opponibilità alla procedura del diritto dell’assegnatario di mantenere la detenzione della casa coniugale.
I giudici di merito avevano risolto la questione in senso negativo, sul presupposto che la situazione giuridica del coniuge assegnatario, in seguito all’atto traslativo, si era evoluta nel diritto di proprietà dell’immobile: conseguentemente, l’assegnatario non poteva invocare la reviviscenza del provvedimento interinale di assegnazione della casa coniugale, paralizzando il rilascio dell’immobile.

Tale soluzione, tuttavia, non è condivisa dalla Suprema Corte, secondo cui, ferma l’inefficacia degli effetti traslativi dell’immobile (art. 44 del RD 267/42) nei confronti della procedura fallimentare, si ripristina, con riferimento al medesimo cespite, la situazione giuridica preesistente al fallimento, che, nella specie, era rappresentata dal diritto del coniuge, assegnatario in sede di separazione, al godimento della casa coniugale.

Secondo l’opinione maggioritaria in giurisprudenza, il diritto costituito in capo all’assegnatario della casa familiare, ove il coniuge non assegnatario ne sia proprietario (o titolare di un diritto reale su di essa), è un diritto personale (non reale) di godimento sui generis (così Cass. SS.UU. nn. 11096/2002 e 13603/2004, Cass. n. 9990/2019), in quanto il provvedimento di assegnazione è trascrivibile e opponibile ai terzi ex art. 2643 c.c., come disponeva l’art. 155-quater c.c. – applicabile alla fattispecie in esame ratione temporis – e come dispone oggi l’art. 337-sexies c.c.

La disciplina dell’opponibilità di tale diritto è mutuata da quella della locazione, in virtù del richiamo alla disciplina di detto contratto effettuato dall’art. 6 comma 6 della L. 898/1970, a mente del quale l’assegnazione, in quanto trascritta, “è opponibile al terzo acquirente ai sensi dell’articolo 1599 del codice civile”. L’art. 1599 comma 2 c.c. dispone, in particolare, che “le locazioni di beni immobili non trascritte non sono opponibili al terzo acquirente, se non nei limiti di un novennio dall’inizio della locazione”, effettuando un’assimilazione tra il diritto dell’assegnatario a quello del conduttore ai meri fini della trascrizione e dell’opponibilità ai terzi.

Di conseguenza, ove la casa venga alienata, dopo l’assegnazione, il provvedimento giudiziale di assegnazione, munito di data certa, resta opponibile, ancorché non trascritto, al terzo acquirente per nove anni dalla data dell’assegnazione, ovvero – se il titolo è stato in precedenza trascritto – anche oltre i nove anni (Cass. n. 1744/2018).
Per la Suprema Corte, quindi, rappresenta ius receptum nella giurisprudenza di legittimità che l’opponibilità del provvedimento di assegnazione della casa familiare, nei limiti del novennio, ove non trascritto (oltre il novennio, se trascritto), anche al terzo acquirente successivo dell’immobile, opera finché permane l’efficacia della pronuncia giudiziale.
L’eventuale insussistenza del diritto sul bene, invece, legittima il terzo acquirente a proporre un’ordinaria azione di accertamento, al fine di conseguire la declaratoria di inefficacia del titolo e la condanna dell’occupante al pagamento di una indennità per l’occupazione illegittima.

Nella fattispecie, quindi, sebbene fosse inefficace, nei confronti del fallimento, l’atto traslativo dell’immobile assegnato, il diritto personale di godimento “sui generis” dell’assegnatario, anche se non trascritto, restava opponibile ai terzi, incluso il sopravvenuto fallimento.

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